Gestisci i tuoi pensieri con la defusione cognitiva. E vivi meglio.
Lilian Pasquini – Centro Interazioni Umane
Quante volte ci succede di avere dei pensieri che ci dicono qualcosa su di noi, sugli altri e sulle situazioni che stiamo vivendo e che ci fanno sentire bloccati e senza via d’uscita? Pensieri ben noti alle nostre orecchie, su ciò che è giusto e sbagliato, su ciò che dobbiamo o possiamo fare o non fare, su chi ha ragione e chi ha torto, che ci fanno sentire al sicuro perché sono le solite vecchie certezze o, al contrario, le solite vecchie insicurezze, e allo stesso tempo hanno la caratteristica di tenerci bloccati nei soliti noti comportamenti: .
Attenzione perché potreste essere caduti nella la trappola della fusione cognitiva! Leggi l’articolo per imparare a riconoscerla e a liberartene.
I processi della flessibilità e inflessibilità psicologica: defusione e fusione
All’interno della terapia ACT si lavora insieme per riuscire a vivere una vita migliore e degna di essere vissuta andando a lavorare su determinati processi connessi tra loro, che descrivonola flessibilità e l’inflessibilità psicologica. Tra questi processi troviamo la fusione cognitiva che porta più in generale all’inflessibilità psicologica, e il suo processo contrapposto la defusione cognitiva che invece contribuisce a una maggiore flessibilità psicologica.
Quando parliamo di fusione cognitiva ci riferiamo al processo per il quale, tendiamo a considerare e giudicare i pensieri che ci attraversano la mente come delle verità assolute su di noi, sugli altri e sul mondo. Questo processo ci porta a vivere le esperienze distorte dal filtro dei nostri pensieri, come se fossero una lente colorata posta sull’obiettivo di una macchina fotografica attraverso la quale percepiamo la realtà, non per quello che è ma attraverso appunto il filtro di giudizi, pregiudizi, convinzioni, aspettative, ricordi, e così via.
La nostra mente è costantemente al lavoro e produce in ogni istante una vasta quantità di pensieri perché è quello che fa, è il suo lavoro. I polmoni respirano, la mente pensa. Questo non significa che tutto ciò che la attraverso sia “vero” né, soprattutto, che tutto ciò che la attraversa sia utile.
La defusione cognitiva è invece il processo grazie al quale, nel momento in cui arriva uno pensiero, siamo in grado di osservarlo, accoglierlo e riconoscerlo come un prodotto della nostra mente che può essere vero e falso, utile, inutile e dannoso, piacevole e spiacevole, neutro, allegro e triste, e così via. Notare questo flusso di pensieri, immagini, ricordi costantemente in atto cambia continuamente e non equivale di per sé a noi stessi né alla realtà. Questo punto di vista “defuso” ci permette quindi di essere maggiormente a contatto con ciò di cui facciamo esperienza diretta senza che questa sia alterata dal filtro dei nostri pensieri.
I problemi legati alla fusione cognitiva
Uno dei problemi principali legati alla fusione cognitiva è che nel momento in cui ciò che emerge nella nostra mente viene considerato sempre più attendibile rispetto a ciò di cui potremmo fare esperienza, all’emergere di pensieri come “sono stupido” oppure “non valgo nulla”, oppure “è incapace”, “tanto non serve a niente”, e così via, questi verranno considerati come delle nostre o altrui caratteristiche intrinseche che guidano alla lettera ciò che sciegliamo di fare.
Se iniziassimo a ritenere un pensiero come “sono stupido” una verità, questo probabilmente ci porterebbe anche a pensare in certe situazioni “sono troppo stupido per fare questa cosa”. Dunque inizieremmo a evitare di esporci a delle situazioni che potrebbero darci conferma di ciò. Per questo motivo il processo di fusione cognitiva è strettamente legato al processo di evitamento esperienziale.
Evitando tutte le situazioni che porterebbero a far emergere il pensiero “sono stupido” evitiamo anche tutte le situazioni nelle quali potrebbe presentarsi la possibilità di sbagliare. Il problema principale di evitamento e fusione è che aumentano la probabilità che non facciamo esperienza di situazioni che potrebbero invece disconfermare i nostri pensieri, così come di errori e sbagli che rappresentano potenziali di crescita ed evoluzione personale, seppur dolorosi. Fusione ed evitamento ci lasciano spesso bloccati in un circolo vizioso nel quale i nostri comportamenti, che sono totalmente regolati da questi pensieri, non ci permettono né di disconfermarli né di apprendere e crescere grazie alle esperienze che viviamo.
La defusione cognitiva: io sono più dei miei pensieri
Metafora del sushi di Russ Harris
Immagina di essere ad un ristorante giapponese, uno di quelli con il rullo dove continuano a scorrere molti piattini diversi. Dietro a questo rullo c’è lo chef che, adempiendo al suo lavoro, continua costantemente a preparare piatti e posarli sul rullo. I piatti che passeranno davanti a te potrebbero essere dei piatti deliziosi, dei piatti neutri che hai già mangiato e non ti suscitano un grande interesse o piatti che invece, anche solo alla vista, di danno un senso deciso di disgusto. Indipendentemente che a te piaccia o no, lo chef continuerà a far uscire tutti questi piatti che riempiranno il rullo scorrevole e che tu potrai decidere di prendere o lasciare lì. Ora pensa alla tua mente come allo chef e ai tuoi pensieri come ai piattini: ne possono arrivare di belli, brutti e neutri. Nulla ti costringe a prenderli o non prenderli, sta a te decidere quali voler afferrare e quali lasciar andare e vedere allontanarsi sul nastro. Quelli disgustosi è molto probabile che torneranno, come ne torneranno di buoni e neutri, ma se li osserviamo senza prenderli questi continueranno a scorrere e ogni volta spariranno sul nastro.
Quando ci mettiamo in una posizione di osservatore succedono diverse cose.
- Per prima cosa portiamo ad aumentare il tempo che intercorre tra l’arrivo del pensiero e il comportamento che ne segue, permettendo quindi di avere maggiore possibilità di scelta e di azione.
- Come seconda cosa, fare un passo indietro ci consente di osservare la mente mentre fa il suo lavoro: osservando la mente all’opera possiamo notare anche come questi pensieri avvengono dentro di noi, ma non sono noi. Noi siamo una parte più grande, che appunto è in grado di osservarli.
Alcuni esercizi di defusione, come questa metafora appena citata ci aiutano a defonderci dai nostri pensieri, assumendo una posizione di osservatori per fare esperienza dei pensieri come qualcosa che accade dentro di noi, che non rappresenta necessariamente chi siamo e ciò in cui crediamo , ovvero quella parte di noi che può osservare come questi arrivano e passano, passano e tornano.
Altri esercizi di defusione invece ci aiutano a staccarci dal contenuto dei pensieri andando a lavorare sul loro significato, alterandolo.
L’esercizio ACT della Word Repetition
Prova a fare questo breve esercizio e nota cosa succede nel mentre!
Assicurati di essere in un luogo tranquillo, possibilmente a casa. Prendi un cronometro, puoi utilizzare anche quello del telefono e imposta un timer di 30 secondi.
Prima di iniziare l’esercizio ti chiedo per un minuto di pensare al latte. Sì, il latte. Quello che bevi la mattina, anche di soia va bene, basta che sia un latte che fa parte della tua esperienza. Se per qualsiasi ragione il latte non parte della tua esperienza, puoi pensare per esempio al limone. Pensa alle sue caratteristiche e alle sensazioni anche fisiche che provi quando ne bevi un bel sorso.
Adesso fai partire il timer ripeti velocemente e ad alta voce la parola “LATTE- LATTE- LATTE- LATTE- LATTE-”.
Vai, continua, non ti fermare!
Ce l’hai quasi fatta continua a ripeterla!
Bene, passati i 30 secondi scrivi su un foglio che cosa hai potuto notare durante l’esercizio.
Cos’è successo a quel latte a cui pensavi all’inizio mentre ripetevi la parola? Molto probabilmente mentre faticavi a ripetere la parola che ormai era diventata un mucchio di suoni e sillabe senza senso e ti iniziava a far male la mandibola per la ripetizione veloce e inusuale, tutte quelle caratteristiche del latte a cui pensavi all’inizio sono sparite. Probabilmente le sensazioni fisiche generate dal solo pensiero del latte (aumento della salivazione, impulso ad alimentarsi, vuoto allo stomaco) si sono sfumate fino a scomparire.
Questo esercizio può essere svolto con parole che hanno su di noi un effetto di lotta o sofferenza e con le quali siamo altamente fusi, come “stupido” dell’esempio di prima. In questo caso, ci può aiutare a fare esperienza di una parola che ci causa così tanta sofferenza e blocco, come solamente un mucchio di suoni, che in realtà non ha significato. Il significato si presenta a seguito di una moltitudine di esperienze che noi facciamo della parola in relazione a numerose situazioni, contesti, persone, emozioni, sensazioni, e così via, La parola di per sé, quella che continua a frullarci in testa per anni e a condizionare il nostro comportamento, non è nient’altro che un suono.
La prossima volta che arriverà un pensiero fastidioso a cui credi particolarmente, prova ad osservarlo, giocaci un po’ come nell’esercizio che hai appena fatto e nota se questo pensiero o parola sembra ancora così minacciosa e fastidiosa.
Se vuoi conoscere di più sui processi che caratterizzano i modelli della flessibilità ed inflessibilità psicologica esplora il nostro blog e troverai gli articoli ad essi dedicati nella sezione flessibilità psicologica!
Metafora del sushi di Russ Harris
Immagina di essere ad un ristorante giapponese, uno di quelli con il rullo dove continuano a scorrere molti piattini diversi. Dietro a questo rullo c’è lo chef che, adempiendo al suo lavoro, continua costantemente a preparare piatti e posarli sul rullo. I piatti che passeranno davanti a te potrebbero essere dei piatti deliziosi, dei piatti neutri che hai già mangiato e non ti suscitano un grande interesse o piatti che invece, anche solo alla vista, di danno un senso deciso di disgusto. Indipendentemente che a te piaccia o no, lo chef continuerà a far uscire tutti questi piatti che riempiranno il rullo scorrevole e che tu potrai decidere di prendere o lasciare lì. Ora pensa alla tua mente come allo chef e ai tuoi pensieri come ai piattini: ne possono arrivare di belli, brutti e neutri. Nulla ti costringe a prenderli o non prenderli, sta a te decidere quali voler afferrare e quali lasciar andare e vedere allontanarsi sul nastro. Quelli disgustosi è molto probabile che torneranno, come ne torneranno di buoni e neutri, ma se li osserviamo senza prenderli questi continueranno a scorrere e ogni volta spariranno sul nastro.
Quando ci mettiamo in una posizione di osservatore succedono diverse cose.
- Per prima cosa portiamo ad aumentare il tempo che intercorre tra l’arrivo del pensiero e il comportamento che ne segue, permettendo quindi di avere maggiore possibilità di scelta e di azione.
- Come seconda cosa, fare un passo indietro ci consente di osservare la mente mentre fa il suo lavoro: osservando la mente all’opera possiamo notare anche come questi pensieri avvengono dentro di noi, ma non sono noi. Noi siamo una parte più grande, che appunto è in grado di osservarli.
Alcuni esercizi di defusione, come questa metafora appena citata ci aiutano a defonderci dai nostri pensieri, assumendo una posizione di osservatori per fare esperienza dei pensieri come qualcosa che accade dentro di noi, che non rappresenta necessariamente chi siamo e ciò in cui crediamo , ovvero quella parte di noi che può osservare come questi arrivano e passano, passano e tornano.
Altri esercizi di defusione invece ci aiutano a staccarci dal contenuto dei pensieri andando a lavorare sul loro significato, alterandolo.
L’esercizio ACT della Word Repetition
Prova a fare questo breve esercizio e nota cosa succede nel mentre!
Assicurati di essere in un luogo tranquillo, possibilmente a casa. Prendi un cronometro, puoi utilizzare anche quello del telefono e imposta un timer di 30 secondi.
Prima di iniziare l’esercizio ti chiedo per un minuto di pensare al latte. Sì, il latte. Quello che bevi la mattina, anche di soia va bene, basta che sia un latte che fa parte della tua esperienza. Se per qualsiasi ragione il latte non parte della tua esperienza, puoi pensare per esempio al limone. Pensa alle sue caratteristiche e alle sensazioni anche fisiche che provi quando ne bevi un bel sorso.
Adesso fai partire il timer ripeti velocemente e ad alta voce la parola “LATTE- LATTE- LATTE- LATTE- LATTE-”.
Vai, continua, non ti fermare!
Ce l’hai quasi fatta continua a ripeterla!
Bene, passati i 30 secondi scrivi su un foglio che cosa hai potuto notare durante l’esercizio.
Cos’è successo a quel latte a cui pensavi all’inizio mentre ripetevi la parola? Molto probabilmente mentre faticavi a ripetere la parola che ormai era diventata un mucchio di suoni e sillabe senza senso e ti iniziava a far male la mandibola per la ripetizione veloce e inusuale, tutte quelle caratteristiche del latte a cui pensavi all’inizio sono sparite. Probabilmente le sensazioni fisiche generate dal solo pensiero del latte (aumento della salivazione, impulso ad alimentarsi, vuoto allo stomaco) si sono sfumate fino a scomparire.
Questo esercizio può essere svolto con parole che hanno su di noi un effetto di lotta o sofferenza e con le quali siamo altamente fusi, come “stupido” dell’esempio di prima. In questo caso, ci può aiutare a fare esperienza di una parola che ci causa così tanta sofferenza e blocco, come solamente un mucchio di suoni, che in realtà non ha significato. Il significato si presenta a seguito di una moltitudine di esperienze che noi facciamo della parola in relazione a numerose situazioni, contesti, persone, emozioni, sensazioni, e così via, La parola di per sé, quella che continua a frullarci in testa per anni e a condizionare il nostro comportamento, non è nient’altro che un suono.
La prossima volta che arriverà un pensiero fastidioso a cui credi particolarmente, prova ad osservarlo, giocaci un po’ come nell’esercizio che hai appena fatto e nota se questo pensiero o parola sembra ancora così minacciosa e fastidiosa.
Se vuoi conoscere di più sui processi che caratterizzano i modelli della flessibilità ed inflessibilità psicologica esplora il nostro blog e troverai gli articoli ad essi dedicati nella sezione flessibilità psicologica!